DISSEMINARIO
Varietas varietatum et omnia varietas

13marzo18aprile 2010


Reggio Emilia

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Mi sono avvicinato al lavoro di Giordano Montorsi, già conosciuto per fama, da alcuni anni. Dal nostro incontro è scaturito un contatto che va oltre la pratica sempre più di routine, ormai, che sottende al rapporto artista-critico, vissuto prevalentemente in una dimensione mercantile di scontato “do ut des”. Ne è nata, al contrario, un’amicizia ed un sodalizio intellettuale arricchito dal contributo di altri validi artisti operanti nella fertile area reggiana. Come ho avuto modo di sottolineare presentando la sua fortunata personale presso il Castello di Arceto a Scandiano verso la fine del 2007, Montorsi, nato nel 1951, è un esponente significativo di quella “generazione di mezzo” di nati tra il ’45 ed il ’55 da me sempre seguita con estrema attenzione per la sua eterodossia in grado di svincolarsi dalle tendenze del momento ed anticipare i tempi costituendo, anche in chiave didattica, non a caso Montorsi è docente di Tecniche Pittoriche presso l’Accademia di Venezia, un trait d’union con le più giovani generazioni molto più vitale, dal punto di vista della divulgazione dei linguaggi della post modernità o contemporaneità avanzata che dir si voglia, rispetto al monolitismo ideologico dell’Arte Povera ed all’anarchia individualista della Transavanguardia. Opportunamente il Comune di Reggio Emilia dedica a Giordano Montorsi, grazie anche al supporto dei suoi numerosi estimatori e collezionisti, una importante personale estesa ad occupare quattro prestigiosi contenitori pubblici cittadini come i Civici Musei, la Galleria Parmeggiani, l’Ex Sinagoga e l’Officina delle Arti. Questo evento è stato preparato con passione e meticolosità dall’artista che proporrà all’attenzione del pubblico un numero impressionante di lavori di ampie dimensioni quasi tutti prodotti per l’occasione e da cui si evince un senso di vitale e prorompente energia espressiva, una vera e propria rivincita della pittura, data puntualmente per morta da giudici superficiali ed ansiosi e viceversa in grado di metabolizzare ed inglobare tutti i linguaggi e le più ardite riflessioni concettuali. L’aspirazione al dialogo multidisciplinare che è sempre stato uno degli obiettivi di Montorsi è qui suggellato da importanti contributi come quelli dell’artista ed acclamato sperimentatore musicale Andrea Rossi Andrea, del filosofo Romano Gasparotti e dello storico dell’architettura Alberto Giorgio Cassani. Dal fertile confronto tra Montorsi e le personalità chiamate da lui a collaborare all’evento, me compreso, è scaturito un titolo certo complesso ma affascinante ed in realtà leggibile come “Disseminario: varietas varietatum et omnia varietas”. Il termine “disseminario” presenta una evidente filiazione da “disseminazione”, che letteralmente significa “spargere qua e là, diffondere, divulgare... dispersione dei semi che assicura la riproduzione della specie” ma anche da “seminario”, luogo di incontro e di confronto delle idee. Entrambi questi significati presentano punti di contatto sia con il progetto artistico di Montorsi che con il clima artistico non solo relativo al “qui ed ora” ma alla tradizione dell’avanguardia novecentesca. La disseminazione è stata oggetto di un recente e fortunato saggio del critico Giorgio Bonomi. Con acutezza nel suo testo Bonomi ha sottolineato come questa pratica sia implicita alla contemporaneità artistica che, per sua stessa natura e vocazione, si è posta storicamente l’obiettivo di andare fuori dalla bidimensione, dal limite vincolante della tela per esplodere nello spazio con le pratiche dell’environment e dell’installazione ambientale in cui vale il principio, sottolineato anche da Filiberto Menna nella sua “Linea analitica dell’arte moderna” fortemente influenzata dalle ricerche strutturaliste degli anni ’70, delle parti che rappresentano il tutto mentre ognuna di loro assume una funzione significante. Violato il tabù della dimensione esso è ovviamente non più tale per cui, nel clima della post modernità a partire dalla fine degli anni ’70, è nuovamente lecito l’uso della tela all’interno della quale è possibile, entro un orizzonte spaziale ben definito, procedere egualmente alla disseminazione di segni, simboli, tracce, idee. Concetto questo impiegato anche, sulla scia di Heidegger ma anche in parziale polemica con lui, dal filosofo francese Jacques Derrida in sintonia con la pratica della “decostruzione” per cui la disseminazione diviene un proliferare ininterrotto di significanti. Il sottotitolo latino significa “varietà della varietà e solo varietà” che significa desiderio di mutamento, di discussione, volontà di attingere all’immenso repertorio offerto sia dall’esperienza del presente che dalla storia. Tutto questo presenta analogie con la complessa ma armonica produzione di Giordano Montorsi, in grado di spaziare a trecentosessanta gradi sia nell’impiego delle tecniche che negli spunti di riflessione analitica e concettuale. L’artista, partito da esperienze concettuali, ha in seguito sintonizzato il suo stile all’interno di quel clima di liberazione da dogmi e vincoli formali che ha caratterizzato gli anni ’80 permettendogli poi di evolversi nel tempo senza mai correre il ricorrente rischio della ripetizione. La sua produzione è stata in grado di proporsi in una dimensione autenticamente eclettica perché consapevole di sé con il tramite dell’installazione, del video e della pittura in un nomadismo intellettuale in grado di citare la storia contestualizzandola alla dimensione del presente senza mai sovrapporsi ad esso. La pittura è comunque sempre stata un ambito privilegiato del suo lavoro ed è l’oggetto di questa ampia personale a Reggio Emilia. Montorsi dà nell’occasione una prova del suo virtuosismo barocco amante della composizione a tutto tondo e della scenografia con una serie di opere, studiate appositamente per gli spazi in cui saranno ospitate, in bilico tra prevalente aniconicità e significativi barlumi di figurazione. Le sue tematiche prevalenti, come la dimensione del segno, il dualismo tra luce ed ombra, vita e morte, visibile ed invisibile, l’universo cosmologico e la proliferazione micro cellulare, le simboliche figure animali che trapelano tra le pieghe della composizione, si dispiegano in quest’occasione all’ennesima potenza con la valenza di un enigma aperto a molteplici interpretazioni. Questo testo vale da introduzione a quello che sarà successivamente pubblicato all’interno del catalogo, affinché la mia scrittura possa avvalersi della suggestione prodotta dall’evento nel suo concreto manifestarsi.

Edoardo Di Mauro, gennaio 2010