UN DIALOGO
PUBBLICATO NEL CATOLOGO
DELLE MOSTRE:



"KABUIO"
MUSEO D'ARTE MODERNA
DI GAZOLDO DEGLI IPPOLITI
2003

"BLACK CIRCUS"
CHIESA DEL CASTELLO DI SARZANA
COMUNE DI CASINA
2003

"CROSSING"
PALAZZO CIVICO
COMUNE DI MONTECHIARUGOLO
2003





Dialogo: intervista di Riccardo Caldura con Giordano Montorsi

[DOMANDA] Caro Giordano, si era pensato di fare un terzo testo dedicato alle tue ultime mostre tenutesi a Gazoldo e Casina. So che hai inaugurato una recentissima mostra a Montechiarugolo. E ve ne sono in programma delle altre. Anche per diversificare un pò gli stessi cataloghi, mi sembra più opportuno provare con una sorta di dialogo/intervista, che contenga tue risposte e chiarimenti. Per questo ti propongo alcune domande che mi auguro si trasformino in stimoli per il tuo argomentare. Ti ritrovi così ad aver fatto una lunga serie di esposizioni nella provincia emiliana, confrontandoti di volta in volta con i diversi aspetti che gli spazi pongono. D'altronde il tuo lavoro mantiene non soltanto delle tematiche di fondo, ma anche delle strutture formali: penso alle reti metalliche che da elemento di sicurezza per cantieri edili, hai trasformato in un dispositivo riarticolabile di volta in volta. Dunque inizierei questa nostra conversazione partendo dal tuo rapporto con lo spazio.

[RISPOSTA] Definiamo dunque in via preliminare quale tipo di spazio interagisce con il mio lavoro, quale caratteristica ne diventa un carattere fondativo e stimolante. Lo spazio fisico, il luogo definito, quel luogo, che denota e connota un ambiente, un territorio preciso, fisico, materiale, si intreccia con uno spazio mentale immateriale, virtuale, in potenza, permettendo a quell'elemento che noi definiamo atto creativo, di prendere corpo attraverso l'opera, l'evento, la cosa. Quel preciso spazio allora, diventa, in molte delle mie esibizioni, luogo di intuizione e di produzione di infiniti spazi, mutevoli, mutanti, sistematici a volte, asistematici altre. In breve direi che il rapporto con lo spazio è di tipo sostanzialmente simbiotico. Ma, tra uno spazio fisico e uno mentale, ne esiste un'altro, quello siderale, cosmico al quale ognuno di noi non può non rivolgere lo sguardo. Su questo spazio, gli umani di ogni epoca e tempo hanno costruito le loro leggende, le loro storie, i loro miti: hanno proiettato verso la mappa celeste, i loro desideri le loro illusioni; lasciandosi guidare dalle stelle, hanno conosciuto il mondo e costruito civiltà secolari. Tutto ciò mi permette di evidenziarti una caratteristica fondante del mio operare fondamentalmente "eclettico." Tutti i cicli di opere da mé realizzati come "Preghiere", "Tenebre", "Ruggine", "Design/Dasein", " Kabuio" sono come mondi già preesistenti che riesumo dall'oscurità. Infatti ogni singolo lavoro non é l'anello di una catena costruita sullo stile, ma vive di luce propria, totalmente fino a se stesso anche se in equilibrio e coerente poeticamente con il resto. Mi piace pensare che il mio operare sia come un'immensa galassia che prende luce poco per volta, formata da tante costellazioni (i vari cicli) ognuna delle quali é regolata da proprie leggi, e le opere, in libero volo nella pluralità di senso etico ed estetico .

[D] Come nascono le tue installazioni, quali le tue fonti di ispirazione o gli artisti di cui senti, o hai sentito l'influenza?

[R] Mi chiedi quali artisti sento più vicino in questo momento al mio lavoro attuale. In verità sono diversi e sopratutto internazionali, come Renée Green, Mona Hatoum, Damien Hirst; il più significativo rimane a ben vedere Vettor Pisani. Non tanto per alcuni contenuti, ma per le modalità operative, per la flessibilità multimediale e per la libertà d'azione che sà mettere in campo nel suo operare artistico. Altra cosa importante che condivido e che appartiene anche a mé, é la capacità di volgere lo sguardo verso orizzonti capaci di riflettere la complessità contemporanea. Per quanto riguarda le fonti di ispirazione, sintetizzando, direi: la "natura" sempre più improbabile, la cultura, l'arte, i sogni, i desideri, le immagini della realtà-irrealtà, i conflitti, lo scontro, gli incubi della modernità, il cinema o dell'immaginario, la storia, la scienza, il mito, inteso nella dupplice accezione di, mitologia e mitografia, le immagini della memoria, i paesaggi della mente, la quotidianità attraverso i suoi segni Kitsch e pulp, in uno scenario, dominato dal rischio di catastrofe possibile, di catastrofe probabile, di catastrofe certa. Il lavoro temporale della ricerca che si svolge nello spazio, affonda le sue radici nel tempo eterno e, come afferma E. Temple Bell nel suo libro: Le flot du temps. "Non bisogna credere che il tempo trascorso rientri nel nulla; il tempo è uno ed eterno, il passato, il presente e il futuro non sono che aspetti diversi - stampe diverse se così preferite - di una registrazione continua, invariabile, dell'esistenza perpetua". Da alcuni anni, una componente essenziale delle mie installazioni è rappresentata dall'uso di reti metalliche di sicurezza per cantieri. Oltre ad un significato simbolico, mi affascina la loro potenziale e reale riarticolazione. Il loro diverso utilizzo determina diverse letture di senso e di significato. Mi permettono un gioco infinito di strutture compositive relazionabili allo spazio e all'ambiente. Hanno quindi una funzione d'uso materiale di supporto, e una funzione simbolico concettuale a forte comunicazione. Da oggetto di riferimento scenografico a soggetto autonomo "poetico". L'opera Kabuio esposta a Gazoldo può essere anche e non solo letta come metafora di un altra rete, quella telematica, ripostiglio di più e svariate memorie. Come vedi, di rete in rete, tra le reti, in rete, ma per non essere intrappolato nella rete, nel recinto della banalità.

immagini della mostra

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