UN DIALOGO
PUBBLICATO NEL CATOLOGO
DELLE MOSTRE:



"KABUIO"
MUSEO D'ARTE MODERNA
DI GAZOLDO DEGLI IPPOLITI
2003

"BLACK CIRCUS"
CHIESA DEL CASTELLO DI SARZANA
COMUNE DI CASINA
2003

"CROSSING"
PALAZZO CIVICO
COMUNE DI MONTECHIARUGOLO
2003





[D] Mi sembra vi sia nel tuo lavoro una riflessione sulla sopraffazione possibile fra esseri umani, come emerge nell'installazione a cui ho accennato, molto significativa a mio avviso, delle scarpe poste in circolo, tutte lucidate, che sembrano comporre un pubblico silenzioso intorno a coppie danzanti. E siamo a Casina in una chiesa restaurata e sconsacrata.

[R] Come ben sai si è parlato molto ultimamente dei sogni e dei conflitti, tema tra l'altro dell'ultima biennale di Venezia. L'opera di Casina, Black Circus, situata nella sacrestia della chiesa sconsacrata di Sarzano, mette in luce proprio l'aspetto del potere, di un certo potere certamente non sacrale. Già nel titolo si evince chiaramente che ci si rifà al circo, a quel luogo dove si mette in scena lo spettacolo di saltimbanchi e giocolieri, acrobati e animali. In questo caso però non ci sono nella gabbia, leoni, tigri, elefanti o dromedari a esibirsi ad uso e consumo degli umani. All'interno della gabbia si trovano le tracce degli uomini e delle donne sotto forma di scarpe, tutte nere, che messe in circolo, alcune si esibiscono in una danza attorno ad un paio di stivali da ufficiale, da domatore, da cavaliere. Come si vede chiaramente dalle immagini, le scarpe da donna sono attive in chiave subalterna rispetto a quelle degli uomini. Solo in coppia con questi ultimi possono partecipare al rito sinistro e tragicomico. Un primo elemento significativo dell'opera sta nel suo essere fortemente antimaschilista. Un secondo elemento di forte significato dell'installazione consiste nel fatto, che traspare forte l'idea di smania di protagonismo servile e impotente di fronte all'immagine del "potere". Volutamente in questo caso é stato scelto lo stereotipo degli stivali. Dal tragico al comico, dall'ironia al sarcasmo. Una danza di spettri inquietante e di fantasmi metropolitani. In questo gioco macabro, tutto é uniformato dal colore nero che annulla le differenze riducendo il tutto a omogeneità. Sé tutto é omogeneo, tutto similare, tutto globalizzato, allora si comprende come la nostra pretesa di uomini occidentali di imporre a tutto il resto dell'umanità la nostra visione del mondo, non sia altro che una forma esplicita di imperialismo culturale, di razzismo, e di sterminio. Il villaggio globale nel quale noi, volenti o dolenti ci troviamo ad abitare, presuppone la consapevolezza democratica del rispetto delle diversità e delle differenze nell'uguaglianza dei diritti. Ecco allora un altro elemento di conflitto, e di ribellione. Anche in questo caso, non spetta all'arte risolvere il dilemma, spetta però anche agli artisti porsi domande, prendere parte, predisporsi a evidenziare "campi di utopia" attraverso la messa in crisi delle certezze e degli assoluti. Come dichiarai ad un giornalista in un' intervista nel 1994, "nella ormai mitica idea di mercato, si sta silenziosamente ed inconsapevolmente rischiando un cronico conflitto, civile ed antropologico, il cui risultato sarà, - oltre ad una divisione degli individui in nettamente forti e pericolosamente fragili, - che non resterà, probabilmente, che la lotta darwiniana la cui risultanza non sarà l'armonico classico equilibrio delle parti ma, al contrario, l'imprescindibile e non negoziabile "epopea dell'astuzia", l'età del ricco sussiego e della privazione che costringe all'inchino."

[D] Sempre a Casina nella navata hai composto una sorta di sogno. Le reti sono state questa volta distese sul pavimento, a comporre una croce; sotto le reti, sfruttando l'intercapedine fra le reti stesse e il pavimento, hai disposto centinaia di animali, un corteo sinuoso che si dirige verso il luogo dell'altare di cui è rimasta soltanto la fossa e l'originaria base di appoggio. Al centro della scena, lì dove stava l'altare, hai posto tre uccelli, tre sagome di trampolieri dipinti di blu, disposti intorno ad un catino smaltato che contiene una miniricostruzione di atollo corallino: isoletta rossa con palme verdi, circondata dall'acqua blu. Il tutto completato a parete da una fotografia di cieli di nubi retroilluminata. Considerando il luogo è difficile non collegare ad una scena sacra, ad un qualche rituale esotico, ma gli elementi che usi (giocattoli d'animali, sagome dipinte), i colori stessi dell'insieme, creano un'atmosfera parodistica, e la terra del sogno ha qualcosa del film d'animazione della Disney Productions. Sogno o parodia della sacralità?

[R] Primo dato: siamo in una chiesa della cristianità sconsacrata, e cioé non più ufficialmente nel luogo sacro per eccellenza, in quanto privato del suo carattere di sacralità. L'altare rimane come maceria, il tabernacolo, dove risiede il corpo del Cristo è stato tolto, il pasto sacro non é più consumabile, la liturgia non si esplicita più in forma canonica. Su queste rovine prende forma l'intervento nella navata centrale della chiesa. Come in un sogno, nuovi miti e nuovi riti si affacciano sul luogo designato a teatro dell'immaginario e dell'onirico. La simulazione della croce attraverso le reti distese, sovrasta un vero e proprio esodo di animali verso la terra promessa, verso l'oasi sotto forma di miraggio. La memoria del luogo attraverso il suo simbolo storico, si intreccia con una nuova storia nata da una sorta di religiosità naturale, panica, esotica. Come in una favola a fumetti l'atmosfera parodistica si rende palese e la parodia della sacralità, un incubo leggero e ironico.

immagini della mostra

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