Il lavoro di Giordano
Montorsi è in grado, per la sua complessità compresa dagli spiriti sensibili e recettivi, di simboleggiare
la storia artistica italiana degli ultimi trent'anni. Montorsi italiano lo
è profondamente per la sua adesione naturale al nostro ''genius loci''
e la sua produzione artistica è emblematica di un movimento che
alterna repentine fughe in avanti a corse a ritroso in un tempo di pari
vicino e remoto. Volendo assumere un atteggiamento di costruttivo ottimismo, la
nostra pare proprio una fase in cui iniziano a dipanarsi nodi che
sembravano indissolubili e costringevano quest' epoca ad una
condizione di stallo ed irrisolutezza. Quanto si manifesta tuttora incerto e
l'orizzonte, ancora celato dalla foschia tipica delle rovine che crollano,
ed impediscono una chiara visione di quanto si profila. La lunga
stagione di interregno, tipica delle stagioni di passaggio, iniziata dopo il
'68, caratterizzata dalla crisi dell'edificio socioculturale
novecentesco, sembra denunciare manifesti sintomi di un esaurimento
progressivo della necessità del suo esserci. A partire dalla data indicata
si evidenzia un primo e profondo momento di crisi dell'assetto
strutturale della tarda modernità. Vengono contestati aspramente i dogmi e
le convenzioni della società borghese, soprattutto in termini di
morale, inizia un processo di disgregazione del nucleo familiare
tradizionale, assistiamo ad una ritualizzazione collettiva, da parte delle giovani
generazioni, del tradizionale assunto freudiano dell'uccisione del
padre, le rivolte operaie sono preludio all'inizio di un invasivo processo
di deindustrializzazione frutto dell'automatismo introdotto dallo
sviluppo delle tecnologie telematiche. Il decennio successivo, fino al'77,
segna una fase di fibrillazioni sussultorie e talvolta drammatiche che
si pongono sostanzialmente sulla scia del moto di partenza. Dopodiché lo scenario muta decisamente ed assistiamo a quello
che può essere definito il non più rinviabile esordio di una esplosiva
crisi delle ideologie politiche novecentesche, dai totalitarismi di
opposto colore della prima metà del Novecento, ai blocchi contrapposti
del secondo dopoguerra con il simbolico crollo del Muro di Berlino
che altera profondamente gli equilibri geopolitici planetari,
esattamente due secoli dopo l'altrettanto simbolica Rivoluzione Francese, da
cui tutto ebbe origine. Negli anni '80 si entra in quella che molti
definiscono, non di rado con confusione terminologica,
stagione postmoderna, etichetta che va usata come parziale sinonimo
di contemporaneità, a meglio indicarne una condizione di non del
tutto compiuto dispiegamento. Molti segnali, come dicevo in apertura,
fanno intendere come anche questo interregno volga al termine, e
sono una globalizzazione economica e culturale sempre più stringente
ed inevitabile di pari ansiosa di essere governata con spirito giusto
ed equanime, come richiedono ampi movimenti di opposizione, la
cultura occidentale messa alle corde dai flussi migratori e dal
terrorismo islamico, con il crollo delle Torri Gemelle ad indicarci che il mondo
virtuale in cui ci siamo più o meno pigramente cullati per un
ventennio abbondante si è alla fine manifestato con una oggettività concreta
e devastante, la crisi definitiva degli ultimi nuclei di capitalismo
tradizionale, ancora non piegatisi alla necessità di collocarsi in un
ambito sopranazionale di scambi ed accorpamenti governati dalle leggi
della finanza internazionale. Tuttavia, pur in presenza di una
sensazione diffusa di sconcerto ed incertezza, si avverte il senso di una
stagione che si libera da una sia pur compiacente stagnazione per
approdare ad un orizzonte, in un modo o nell'altro, rinnovato, ad una nuova
epoca. Naturalmente l'arte, e non poteva essere diversamente, ha
seguito in parallelo questi mutamenti, ora assecondandoli, ora
precedendoli. I moti sessantottini hanno rappresentato l'ultimo sussulto
dell'avanguardia novecentesca intesa come segmento sincronico e
vettoriale, come continuo superamento delle pastoie degli antichi linguaggi, e
le istanze del concettuale, in Italia manifestatosi soprattutto
nell'accezione dell'Arte Povera, si sono poste in sintonia con l'utopia politica
di quella fase storica rispetto al rigore del comportamento ed alla
ricerca di un terreno di possibile relazione tra artificio tecnologico e natura. A partire dalla seconda metà degli anni'70 e per tutti gli anni'80,
ha inizio quella fase di esaurimento dell'incedere progressivo del
linguaggio delle avanguardie con l'avvento di un nuovo e diffuso clima,
caratterizzato inizialmente dal ritorno della manualità pittorica ed in
seguito da un eclettismo stilistico dove la citazione delle principali
esperienze formali del Novecento si è abbinato al tentativo di stabilire un
dialogo con una realtà caratterizzata da una presenza sempre più
invasiva delle nuove tecnologie e degli strumenti di comunicazione. Gli
anni'90 hanno sostanzialmente proseguito in questa direzione, con una
marcata presenza della fotografia e del video ed un graduale infittirsi
delle presenze operanti a vario titolo nella scena artistica. Nell'ambito di
un panorama sempre più uniforme e globalizzato, la connotazione
negativa dell'arte italiana dell'ultimo decennio è stata la conformistica
adesione a modelli estranei alla nostra tradizione. Particolarmente
riguardo la vasta area del cosiddetto "neoconcettuale", dove è stato
privilegiato quanto ha stancamente ricalcato i canoni espressivi degli
anni '60 e '70 proponendo un appiattimento totale sulla realtà, limitato
alla dimensione del proprio microcosmo individuale, ed invece hanno
faticato ad imporsi quelle opere in grado di esprimere autenticamente
lo spirito del tempo, in bilico tra realtà ed allegoria, e dotate di una
carica di corrosiva e disinibita ironia, peculiarità del "genius loci" italiano. Nell'ultimo periodo la tensione tra queste due opposte opzioni si è,
in qualche misura, pacificata, e lo scenario complessivo dell'arte
appare mobile e fluttuante, come in uno stato di sospensione, che
sembra volere preludere a possibili mutamenti futuri. Un clima di questo
genere favorisce indubbiamente la riflessione sulle esperienze del
recente passato, e sulla loro frequente condizione di attualità,
permettendo una positiva rilettura di importanti esperienze individuali e
collettive, che si riversano ed arricchiscono uno scenario in cerca
d'autore.
Questa ampia digressione storica consente, a mio avviso, di
avvicinarsi al lavoro di Montorsi in maniera più consapevole in
quanto, come ho avuto modo di sottolineare nella partecipata e dibattuta
presentazione della sua ultima personale presso il Castello di Arceto
a Scandiano, ogni artista che si rispetti si esprime in base alle
suggestioni fornitegli dalla sua irripetibile sensibilità, come da
dettato crociano, Montorsi in questo senso non è certo carente di
personalità e di autonomia, ma slegare il lavoro dal contesto storico è un
grave errore non tanto da un punto di vista percettivo quanto didattico e
conoscitivo. Montorsi, nato nel 1951, è un esponente significativo
di quella che ho definito, in varie operazioni di organizzazione ed
interpretazione critica, la "generazione di mezzo" di nati tra il '45 ed il
'55 che si è distinta per la sua capacità di essere coerente con il
clima culturale degli anni della formazione ma, di pari, ha dimostrato
una predisposizione a sintonizzarsi con l'evoluzione dei percorsi artistici
e quindi a dialogare in modo fecondo con le più giovani generazioni.
Il lavoro di Montorsi ha origine negli anni in cui il linguaggio del
Concettuale, specie quello di matrice rigorosamente analitica e
tautologica, esaurisce le sue possibilità evolutive approdando ad un
estremismo formale, in quella fase peraltro necessaria, in cui viene meno la
funzione iconografica dell'opera e quella ermeneutica della critica.
Gli umori che il Concettuale ha fatto venire a galla si riconvertono,
con un repentino ma comprensibile rovesciamento, in una riscoperta
della manualità, della pittura, dell'antica "teknè". Montorsi è tra i
protagonisti di quegli anni; distante dalla visceralità transavanguardista,
cosÏ come dalla simbologia decorativa dei Nuovi Nuovi, anche se va
precisato che all'interno di quei gruppi convivevano posizioni non del
tutto omologhe, l'artista reggiano si fa artefice di una pittura dove
all'istinto si abbina la raffinatezza della riflessione. Le sue tele, quasi sempre caratterizzate dalla teatralità barocca
della grande dimensione, anche se non sfociano nell'environment,
sono pervase da una pittura di matrice aniconica in cui la figura fa
costantemente capolino come emblematica epifania, ombra che trapela
tra le pieghe del colore, in veste animale, umana o come porzione di
paesaggio, lasciando magicamente ipnotizzato il fruitore. E del
barocco prima citato Montorsi prende a prestito la poetica della luce,
una luce che si diffonde e squarcia le tenebre, elargisce verità e
bellezza donando forma all'inerte materia in una dimensione di spiritualità
che riecheggia la filosofia di Plotino. Gli anni '80, come sottolineato
dallo stesso artista, sono caratterizzati dalla riscoperta della propria
dimensione individuale e dalla voglia di attraversare molte storie e
varie culture in un nomadismo culturale che non disdegna la
dimensione ludica ed il confronto con l'estetica metropolitana. A partire
dagli anni '90 lo stile generale vira, come prima citato, in direzione di
un eclettismo stilistico in cui la pittura mantiene una viva attualità
ma viene affiancata da varie forme di installazione legate all'oggetto
e dalla presenza non eludibile delle nuove tecnologie, della fotografia
e del video. Un artista della cultura di Montorsi si trova perfettamente
a suo agio in questa clima. Le numerose installazioni degli ultimi anni
lo testimoniano, e va inoltre segnalato come l'artista abbia
saputo con grande forza difendere il suo lavoro dalla grave crisi non
creativa ma di sistema che attanaglia l'arte italiana da quasi un ventennio. Nelle opere di questi anni Montorsi ha reso sempre più evidente
la sua abilità nell' effettuare dei veri e propri corto circuiti storici e
linguistici, ricontestualizzando nell'immanenza della dimensione
presente spunti e suggestioni provenienti da culture extra europee con la
tradizione delle avanguardie storiche, abbinandole alla sua capacità
di penetrare la dimensione del territorio e di una quotidianità solo in
apparenza marginale. Si va dalle installazioni che sfidano
apertamente il design sul suo stesso terreno formale ottenendo una meritata
vittoria, agli assemblaggi oggettuali in cui l'artista pare volere
approdare ad una sorta di catalogazione ed inventario universale vincendo
in questo caso la difficile sfida con la poetica dell' "object trouvè",
ad un pittura quasi sempre giocata sulla dimensione ampia in cui
prevale una nitida e rigorosa dimensione segnica. La personale allestita nel Castello di Arceto, dal significativo
titolo "Sui sentieri delle fiere", va a collocarsi armonicamente nei
suggestivi spazi dell'antico edificio, fornendo una esemplare summa della
poetica montorsiana, ben descritta da Francesca Baboni nella sua introduzione all'evento, che ripercorro. La prima sala è
caratterizzata dalla presenza di due tele di grandi dimensioni, lunghe cinque
metri ed intitolate "Dormono le verdi valli al tramonto" e "Notti di fuochi
insonni" ; nella prima inquietanti scheletri animali si insinuano
formando una schiera ritmica ed implacabile tra una pulsante campitura
di verde, nella seconda le tinte paiono evocare la luminosità
purificatrice del fuoco, dove balena anche in questo caso una fiera agile e
sinuosa dalle parvenze di rettile. Abbiamo poi le due tele di
esemplare rigore astratto di "Aurora degli abissi" centrate sull'alternanza
dei chiari e degli scuri. La mostra prosegue con l'installazione "Still Life
: frammenti dell'avvenire", dall'inquietante rigore scenografico,
dove riecheggiano tematiche tipiche della poetica di Montorsi, quali
il dualismo inestricabile tra vita e morte e visibile ed invisibile, con
la costante di un vitalismo di fondo, perchè la luce sarà comunque
destinata a squarciare la tenebra, ricacciandola in quel mondo degli
inferi dal quale si è materializzata. In Still life la sagoma di una
bambina si concentra sulla magia della rappresentazione pittorica posta
di fronte a lei, incurante dei teschi e delle vestigia di morte che
la attorniano, mentre nella seconda questi simboli pittorici densi
di positività si articolano in una ampia installazione ad incastro,
che evoca la superficie di una scacchiera od il gioco del domino,
giocando sull'enigma di una simbologia segnica aperta a molteplici
interpretazioni. La voglia di sperimentare il nuovo coniugandolo alla
tradizione e la capacità di aprire la sua poetica a mille possibili varianti
fanno di Giordano Montorsi, per citare una definizione di Gian
Ruggero Manzoni, un autentico "guerriero della conoscenza".
Edoardo Di Mauro, ottobre 2007
Leggi introduzione alla mostra (Francesco Baboni)
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