SUI SENTIERI DELLE FIERE
A CURA DI EDOARDO DI MAURO
CASTELLO DI ARCETO
2007






Il lavoro di Giordano Montorsi è in grado, per la sua complessità compresa dagli spiriti sensibili e recettivi, di simboleggiare la storia artistica italiana degli ultimi trent'anni. Montorsi italiano lo è profondamente per la sua adesione naturale al nostro ''genius loci'' e la sua produzione artistica è emblematica di un movimento che alterna repentine fughe in avanti a corse a ritroso in un tempo di pari vicino e remoto. Volendo assumere un atteggiamento di costruttivo ottimismo, la nostra pare proprio una fase in cui iniziano a dipanarsi nodi che sembravano indissolubili e costringevano quest' epoca ad una condizione di stallo ed irrisolutezza. Quanto si manifesta tuttora incerto e l'orizzonte, ancora celato dalla foschia tipica delle rovine che crollano, ed impediscono una chiara visione di quanto si profila. La lunga stagione di interregno, tipica delle stagioni di passaggio, iniziata dopo il '68, caratterizzata dalla crisi dell'edificio socioculturale novecentesco, sembra denunciare manifesti sintomi di un esaurimento progressivo della necessità del suo esserci. A partire dalla data indicata si evidenzia un primo e profondo momento di crisi dell'assetto strutturale della tarda modernità. Vengono contestati aspramente i dogmi e le convenzioni della società borghese, soprattutto in termini di morale, inizia un processo di disgregazione del nucleo familiare tradizionale, assistiamo ad una ritualizzazione collettiva, da parte delle giovani generazioni, del tradizionale assunto freudiano dell'uccisione del padre, le rivolte operaie sono preludio all'inizio di un invasivo processo di deindustrializzazione frutto dell'automatismo introdotto dallo sviluppo delle tecnologie telematiche. Il decennio successivo, fino al'77, segna una fase di fibrillazioni sussultorie e talvolta drammatiche che si pongono sostanzialmente sulla scia del moto di partenza. Dopodiché lo scenario muta decisamente ed assistiamo a quello che può essere definito il non più rinviabile esordio di una esplosiva crisi delle ideologie politiche novecentesche, dai totalitarismi di opposto colore della prima metà del Novecento, ai blocchi contrapposti del secondo dopoguerra con il simbolico crollo del Muro di Berlino che altera profondamente gli equilibri geopolitici planetari, esattamente due secoli dopo l'altrettanto simbolica Rivoluzione Francese, da cui tutto ebbe origine. Negli anni '80 si entra in quella che molti definiscono, non di rado con confusione terminologica, stagione postmoderna, etichetta che va usata come parziale sinonimo di contemporaneità, a meglio indicarne una condizione di non del tutto compiuto dispiegamento. Molti segnali, come dicevo in apertura, fanno intendere come anche questo interregno volga al termine, e sono una globalizzazione economica e culturale sempre più stringente ed inevitabile di pari ansiosa di essere governata con spirito giusto ed equanime, come richiedono ampi movimenti di opposizione, la cultura occidentale messa alle corde dai flussi migratori e dal terrorismo islamico, con il crollo delle Torri Gemelle ad indicarci che il mondo virtuale in cui ci siamo più o meno pigramente cullati per un ventennio abbondante si è alla fine manifestato con una oggettività concreta e devastante, la crisi definitiva degli ultimi nuclei di capitalismo tradizionale, ancora non piegatisi alla necessità di collocarsi in un ambito sopranazionale di scambi ed accorpamenti governati dalle leggi della finanza internazionale. Tuttavia, pur in presenza di una sensazione diffusa di sconcerto ed incertezza, si avverte il senso di una stagione che si libera da una sia pur compiacente stagnazione per approdare ad un orizzonte, in un modo o nell'altro, rinnovato, ad una nuova epoca. Naturalmente l'arte, e non poteva essere diversamente, ha seguito in parallelo questi mutamenti, ora assecondandoli, ora precedendoli. I moti sessantottini hanno rappresentato l'ultimo sussulto dell'avanguardia novecentesca intesa come segmento sincronico e vettoriale, come continuo superamento delle pastoie degli antichi linguaggi, e le istanze del concettuale, in Italia manifestatosi soprattutto nell'accezione dell'Arte Povera, si sono poste in sintonia con l'utopia politica di quella fase storica rispetto al rigore del comportamento ed alla ricerca di un terreno di possibile relazione tra artificio tecnologico e natura. A partire dalla seconda metà degli anni'70 e per tutti gli anni'80, ha inizio quella fase di esaurimento dell'incedere progressivo del linguaggio delle avanguardie con l'avvento di un nuovo e diffuso clima, caratterizzato inizialmente dal ritorno della manualità pittorica ed in seguito da un eclettismo stilistico dove la citazione delle principali esperienze formali del Novecento si è abbinato al tentativo di stabilire un dialogo con una realtà caratterizzata da una presenza sempre più invasiva delle nuove tecnologie e degli strumenti di comunicazione. Gli anni'90 hanno sostanzialmente proseguito in questa direzione, con una marcata presenza della fotografia e del video ed un graduale infittirsi delle presenze operanti a vario titolo nella scena artistica. Nell'ambito di un panorama sempre più uniforme e globalizzato, la connotazione negativa dell'arte italiana dell'ultimo decennio è stata la conformistica adesione a modelli estranei alla nostra tradizione. Particolarmente riguardo la vasta area del cosiddetto "neoconcettuale", dove è stato privilegiato quanto ha stancamente ricalcato i canoni espressivi degli anni '60 e '70 proponendo un appiattimento totale sulla realtà, limitato alla dimensione del proprio microcosmo individuale, ed invece hanno faticato ad imporsi quelle opere in grado di esprimere autenticamente lo spirito del tempo, in bilico tra realtà ed allegoria, e dotate di una carica di corrosiva e disinibita ironia, peculiarità del "genius loci" italiano. Nell'ultimo periodo la tensione tra queste due opposte opzioni si è, in qualche misura, pacificata, e lo scenario complessivo dell'arte appare mobile e fluttuante, come in uno stato di sospensione, che sembra volere preludere a possibili mutamenti futuri. Un clima di questo genere favorisce indubbiamente la riflessione sulle esperienze del recente passato, e sulla loro frequente condizione di attualità, permettendo una positiva rilettura di importanti esperienze individuali e collettive, che si riversano ed arricchiscono uno scenario in cerca d'autore.

Questa ampia digressione storica consente, a mio avviso, di avvicinarsi al lavoro di Montorsi in maniera più consapevole in quanto, come ho avuto modo di sottolineare nella partecipata e dibattuta presentazione della sua ultima personale presso il Castello di Arceto a Scandiano, ogni artista che si rispetti si esprime in base alle suggestioni fornitegli dalla sua irripetibile sensibilità, come da dettato crociano, Montorsi in questo senso non è certo carente di personalità e di autonomia, ma slegare il lavoro dal contesto storico è un grave errore non tanto da un punto di vista percettivo quanto didattico e conoscitivo. Montorsi, nato nel 1951, è un esponente significativo di quella che ho definito, in varie operazioni di organizzazione ed interpretazione critica, la "generazione di mezzo" di nati tra il '45 ed il '55 che si è distinta per la sua capacità di essere coerente con il clima culturale degli anni della formazione ma, di pari, ha dimostrato una predisposizione a sintonizzarsi con l'evoluzione dei percorsi artistici e quindi a dialogare in modo fecondo con le più giovani generazioni. Il lavoro di Montorsi ha origine negli anni in cui il linguaggio del Concettuale, specie quello di matrice rigorosamente analitica e tautologica, esaurisce le sue possibilità evolutive approdando ad un estremismo formale, in quella fase peraltro necessaria, in cui viene meno la funzione iconografica dell'opera e quella ermeneutica della critica. Gli umori che il Concettuale ha fatto venire a galla si riconvertono, con un repentino ma comprensibile rovesciamento, in una riscoperta della manualità, della pittura, dell'antica "teknè". Montorsi è tra i protagonisti di quegli anni; distante dalla visceralità transavanguardista, cosÏ come dalla simbologia decorativa dei Nuovi Nuovi, anche se va precisato che all'interno di quei gruppi convivevano posizioni non del tutto omologhe, l'artista reggiano si fa artefice di una pittura dove all'istinto si abbina la raffinatezza della riflessione. Le sue tele, quasi sempre caratterizzate dalla teatralità barocca della grande dimensione, anche se non sfociano nell'environment, sono pervase da una pittura di matrice aniconica in cui la figura fa costantemente capolino come emblematica epifania, ombra che trapela tra le pieghe del colore, in veste animale, umana o come porzione di paesaggio, lasciando magicamente ipnotizzato il fruitore. E del barocco prima citato Montorsi prende a prestito la poetica della luce, una luce che si diffonde e squarcia le tenebre, elargisce verità e bellezza donando forma all'inerte materia in una dimensione di spiritualità che riecheggia la filosofia di Plotino. Gli anni '80, come sottolineato dallo stesso artista, sono caratterizzati dalla riscoperta della propria dimensione individuale e dalla voglia di attraversare molte storie e varie culture in un nomadismo culturale che non disdegna la dimensione ludica ed il confronto con l'estetica metropolitana. A partire dagli anni '90 lo stile generale vira, come prima citato, in direzione di un eclettismo stilistico in cui la pittura mantiene una viva attualità ma viene affiancata da varie forme di installazione legate all'oggetto e dalla presenza non eludibile delle nuove tecnologie, della fotografia e del video. Un artista della cultura di Montorsi si trova perfettamente a suo agio in questa clima. Le numerose installazioni degli ultimi anni lo testimoniano, e va inoltre segnalato come l'artista abbia saputo con grande forza difendere il suo lavoro dalla grave crisi non creativa ma di sistema che attanaglia l'arte italiana da quasi un ventennio. Nelle opere di questi anni Montorsi ha reso sempre più evidente la sua abilità nell' effettuare dei veri e propri corto circuiti storici e linguistici, ricontestualizzando nell'immanenza della dimensione presente spunti e suggestioni provenienti da culture extra europee con la tradizione delle avanguardie storiche, abbinandole alla sua capacità di penetrare la dimensione del territorio e di una quotidianità solo in apparenza marginale. Si va dalle installazioni che sfidano apertamente il design sul suo stesso terreno formale ottenendo una meritata vittoria, agli assemblaggi oggettuali in cui l'artista pare volere approdare ad una sorta di catalogazione ed inventario universale vincendo in questo caso la difficile sfida con la poetica dell' "object trouvè", ad un pittura quasi sempre giocata sulla dimensione ampia in cui prevale una nitida e rigorosa dimensione segnica. La personale allestita nel Castello di Arceto, dal significativo titolo "Sui sentieri delle fiere", va a collocarsi armonicamente nei suggestivi spazi dell'antico edificio, fornendo una esemplare summa della poetica montorsiana, ben descritta da Francesca Baboni nella sua introduzione all'evento, che ripercorro. La prima sala è caratterizzata dalla presenza di due tele di grandi dimensioni, lunghe cinque metri ed intitolate "Dormono le verdi valli al tramonto" e "Notti di fuochi insonni" ; nella prima inquietanti scheletri animali si insinuano formando una schiera ritmica ed implacabile tra una pulsante campitura di verde, nella seconda le tinte paiono evocare la luminosità purificatrice del fuoco, dove balena anche in questo caso una fiera agile e sinuosa dalle parvenze di rettile. Abbiamo poi le due tele di esemplare rigore astratto di "Aurora degli abissi" centrate sull'alternanza dei chiari e degli scuri. La mostra prosegue con l'installazione "Still Life : frammenti dell'avvenire", dall'inquietante rigore scenografico, dove riecheggiano tematiche tipiche della poetica di Montorsi, quali il dualismo inestricabile tra vita e morte e visibile ed invisibile, con la costante di un vitalismo di fondo, perchè la luce sarà comunque destinata a squarciare la tenebra, ricacciandola in quel mondo degli inferi dal quale si è materializzata. In Still life la sagoma di una bambina si concentra sulla magia della rappresentazione pittorica posta di fronte a lei, incurante dei teschi e delle vestigia di morte che la attorniano, mentre nella seconda questi simboli pittorici densi di positività si articolano in una ampia installazione ad incastro, che evoca la superficie di una scacchiera od il gioco del domino, giocando sull'enigma di una simbologia segnica aperta a molteplici interpretazioni. La voglia di sperimentare il nuovo coniugandolo alla tradizione e la capacità di aprire la sua poetica a mille possibili varianti fanno di Giordano Montorsi, per citare una definizione di Gian Ruggero Manzoni, un autentico "guerriero della conoscenza".

Edoardo Di Mauro, ottobre 2007


Leggi introduzione alla mostra (Francesco Baboni)