Giordano Montorsi
alla Rocca dei Boiardo




Francesco Poli



Il lavoro di Giordano Montorsi ha una forza d’urto decisamente notevole sul piano concettuale e su quello della sollecitazione dell’immaginario. Ha una carica di energia estetica dirompente e deflagrante che prende forma, con effetti caleidoscopici, attraverso una proliferazione vitalissima di immagini, oggetti, assemblaggi e installazioni. La ricerca dell’artista si sviluppa, ormai da lungo tempo, come una appassionata e ossessiva ricognizione degli aspetti più problematici, sorprendenti, drammatici e spettacolari della fenomenologia della realtà che ci circonda, e come elaborazione delle complesse e affascinanti stratificazioni e ibridazioni culturali, con riferimenti sia alle mitologie legate all’ideologia attuale sia a simbolismi arcaici e esoterici. Tutti i grandi temi filosofici, politici e esistenziali entrano in gioco in forma esplicita o implicita, all’interno di una dialettica fra ordine e disordine, fra libertà e costrizione, fra dimensione ludica e tragiche tensioni. Ci si trova davanti a delle opere aperte, che non hanno mai la pretesa di dare delle risposte, ma che si pongono con singolare intensità come delle interrogazioni sul significato profondo dei valori su cui si basa la nostra identità collettiva. Indubbiamente esiste il rischio di perdersi nella confusione labirintica e nell’eccesso di presenze di elementi messi in scena, ma si tratta di un rischio voluto e (fino a un certo punto) calcolato, di una sfida che pone l’operazione artistica sull’orlo del baratro del non senso. Ma questa sfida totalizzante, e dunque per molti versi romantica e utopica, si giustifica nella misura in cui Montorsi riesce a trasformare il suo personale rapporto fra arte e vita in una grande metafora visiva che diventa generatrice, per il pubblico, di suggestioni e riflessioni inedite di grande respiro. Questo risultato, a mio parere, è stato raggiunto nel modo più efficace nella grande esposizione realizzata qui, nella storica Rocca dei Boiardo. Si tratta in effetti di una mostra che ha caratteristiche molto particolari, anche per motivi strettamente autobiografici. Questo bellissimo castello rinascimentale, abbastanza lontano dai percorsi turistici più frequentati, ha nella sua grandiosa monumentalità un fascino severo perché le sue mura, la sua corte, il suo scalone, le sue sale e i suoi sinistri sotterranei, sono impregnati con una evidenza impressionante di memorie storiche. Tutto ciò (e qui sta l’aspetto peculiare, per quanto ci riguarda) è anche legato direttamente alla vita dell’artista, e precisamente alle sue esperienze d’infanzia e di adolescenza: questo castello è il “suo castello” perché è qui , nei prati intorno, che giocava con i suoi amici cacciando lucertole,e fantasticando su quanto di straordinario e terribile era successo (o poteva ancora succedere) al suo interno. E dunque si può immaginare con che stato d’animo , con quali personali emozioni, Montorsi abbia affrontato questo suo impegno artistico, forse il più impegnativo della sua carriera: un punto di arrivo certamente, ma anche allo stesso tempo un punto di ri-partenza per la conquista di altri “castelli”.
La mostra, realizzata con la vitale collaborazione artistica di Sandra Moss, si intitola “Erebo Lux”, è formata da due parti strettamente interconnesse che costituiscono un’ unica grande articolazione espositiva che occupa e carica di una diffusa tensione estetica praticamente tutti i principali spazi della rocca. La parte più innovativa è costituita da un lungo e tortuoso percorso di piccole e grandi installazioni realizzate nei tetri e inquietanti sotterranei, con una precisa attenzione alle specifiche caratteristiche dei vari locali. L’altra parte si sviluppa invece nelle magnifiche sale decorate, ed è formata da un’ampia selezione di opere degli ultimi due decenni e da una grande installazione che occupa tutto il pavimento del Salone delle Feste, dove è esposto anche il polittico di dodici pannelli dipinti il cui titolo da nome alla mostra.
L’aspetto che colpisce di più di questa impresa espositiva è il senso di unità complessiva nonostante la proliferazione apparentemente dispersiva dei lavori. In altri termini, l’impressione del visitatore alla fine della visita non è quella di una somma di opere più o meno interessanti, ma piuttosto quella di una grande opera unica, di una articolata orchestrazione polifonica di frammenti che riflettono, ciascuno da un’angolatura particolare, una visione artistica del mondo che del disordine e della complessità contraddittoria ha fatto il suo minimo comune denominatore. Per l’artista, dunque, la realtà è essenzialmente connotata da valenze irrazionali e assurde, e come tale sfugge continuamente ad ogni tentativo di definizione e controllo razionale, e questo può essere sicuramente fonte di angoscia e disperazione, ma può anche essere uno stimolo forte per una scelta coraggiosa di apertura in direzione di esperienze sotto il segno, rischiosissimo, della scoperta di nuove frontiere. Per usare una metafora marinaresca, si potrebbe dire che Montorsi non si è mai accontentato di navigare sottocosta, ma ha deciso di affrontare l’avventura in mare aperto, senza sicurezze d’approdi conosciuti. A sostenere la sua impresa senza certezze, c’è sicuramente una energia vitalistica di fondo, che gli ha permesso di non cadere mai in una visione pessimistica e tragica e che , al contrario, gli ha dato la forza di impostare la sua ricerca mantenendo la freschezza della dimensione ludica e ironica , che è presente in molti lavori, e che comunque tende a neutralizzare , almeno in parte, l’emergenza degli aspetti più inquietanti. Nei suoi lavori viene messa in atto una dialettica fra aspetti ludici e tragici, per esempio attraverso la colorazione in nero di giocattoli da bambini (animali e veicoli) o la realizzazione di installazioni con fredde griglie metalliche (che danno il senso di privazione di libertà) e con oggetti normali della quotidianità, oppure, nel caso di installazioni di questa mostra, proponendo nella drammatica atmosfera dei sotterranei gruppi di animaletti e altre cose in modo da creare effetti decisamente spiazzanti.
Facendo riferimento allo straordinario saggio di Starobinski ,che a partire dalle considerazioni di Baudelaire, delinea la figura dell’artista come “acrobata” che camminando su un cavo si trova nell’instabile equilibrio fra l’esaltante condizione di libertà aerea e l’angosciante paura della caduta, Montorsi ha realizzato un’installazione emblematica che evidenzia con chiarezza il senso della sua avventura artistica. Questa installazione, intitolata “The Power of Acrobats”, inaugura il percorso nei sotterranei. Qui vediamo un semplice cavo teso attraverso l’ambiente su cui sono appesi con delle mollette una maglietta e dei pantaloni neri, con sullo sfondo una grande tela fotografica che rappresenta un cielo nuvoloso con un cavo elettrico in primo piano; per terra c’è un cerchio in plastica multicolore, metafora di vita e colore.
Il percorso sotterraneo prosegue con una serie di interventi in sito, tutti sorprendenti e caratterizzati da una ambivalente suggestione ludica e inquietante. Ci sono gruppi di animaletti neri collocati sul bordo di finestre bloccate da inferriate arrugginite, oppure in crepe e anfratti dei muri secolari. C’è, in un angolo un piccolo giocattolo con un acrobata che si muove continuamente per energia magnetica (che rimanda ovviamente all’installazione iniziale). E poi, tra l’altro: un gatto accovacciato su un sedile; un tavolino con tovaglia, piatti e bicchieri; un singolare letto metallico con le lenzuola sotto e un candido cuscino; un rettangolo di vero prato verdeggiante con una palla da baseball (che allude a un gioco sportivo ma anche a una tomba); degli uccellini in plastica che si mettono a cinguettare (grazie a una cellula fotoelettrica) al passaggio di un visitatore. Tutte questi interventi, è bene ripeterlo, acquistano un senso estetico straniante, per il loro rapporto con il luogo, le cui pareti in molti casi sono piene di scritte, quelle antiche graffite dai prigionieri rinchiusi laggiù. L’ultima tappa del percorso è la lugubre sala del patibolo, bloccata da una griglia metallica: qui l’artista ha creato una messa in scena di particolare effetto drammatico e surreale.. Un manichino di bambina bionda visto di spalle, illuminato da un faretto, in piedi al centro guarda uno schermo su cui è proiettato un video con delle galline che mangiano in un pollaio, dove al centro sono minacciosamente presenti un paio di stivali neri. Una canzoncina dedicata a Pinocchio anima dal punto di vista sonoro l’installazione. E’ certo che per tutti i visitatori questa esperienza sotterannea sarà difficilmente dimenticabile.
Dopo l’immersione negli “inferi” si risale alla luce del sole e alla più tranquillizzante atmosfera delle sale del castello. Si passa attraverso la stretta scala delle ex-prigioni al grandioso scalone che porta nei luoghi dei fasti passati. Qui i lavori dell’artista, pur essendo comunque e sempre destabilizzanti e problematici, si possono vedere con un distacco maggiore. Tra le opere più vecchie, molte continuano ad avere una forte vitalità, in stretta coerenza con gli sviluppi successivi della ricerca. Colpiscono l’attenzione, per il loro violento impatto oggettuale e straniante, molte sculture costruite come mobili assurdi, caratterizzati da forti valenze simboliche. A rendere, in qualche modo affascinanti questi lavori è anche la qualità della realizzazione artigianale e la particolare significazione espressiva dei materiali utilizzati, dal marmo al bronzo, dal rame all’acciaio. Anche i quadri dipinti hanno una loro precisa coerenza nella definizione della visione complessiva dell’artista. E’– il caso in particolare della serie, presentata in una compatta sequenza, che si intitola “Toast- Tra cielo e terra”: ventiquattro dipinti elaborati con sovrapposizioni di interventi astratti-gestuali e figurazioni di precisa definizione (degli uccelli dipinti con tecnica antica). Ed è anche, ovviamente, il caso di “Erebo Lux”, che si presenta come una grande esplosione di libera pittura bloccata, in qualche modo, dal contrappunto di campiture geometriche sovrapposte, oltre che dalla griglia ordinata dei limiti delle tele, ordinate in sequenza seriale.
Un ultimo, ma non certo meno importante, della mostra è costituito dalla creazione da parte dell’artista di una grande struttura, fatta di reti metalliche, che esce all’aperto. Una struttura a forma di lucertola gigante installata sul prato antistante il castello, proprio quello dove l’artista giocava da bambino. Questa struttura , grazie all’aiuto indispensabile dell’animatrice Georgia Cantoni, è diventata l’occasione per un coinvolgimento creativo delle scolaresche di Scandiano, che hanno utilizzato questa forma nuda come contenitore della loro fantasia e creatività.